In Borgogna, alla ricerca dell’emozione


Quando ero ragazzo ed entravo nei supermercati francesi, guardavo stupito gli scaffali e leggevo incantato le sobrie etichette attaccate a quelle bottiglie verdi, tutte miracolosamente uguali. Bourgogne… E mio padre che raccontava come un vero francese, quando va al ristorante, chiede sempre un Bourgogne.

Eppure, curiosità della vita, quando passai per la prima volta dalla Borgogna, ed ero già grande, non ero affatto interessato al vino, quanto piuttosto all’arte.

Poi fu la volta dello Chablis, servitomi al matrimonio di amici francesi, nell’indimenticabile cornice di un castello della valle della Loira. L’abbinamento era, forse, un po’ forzato, dato che lo si accostava al foie gras dell’aperitivo. Fatto sta che mi piacque immensamente (per quanto non ricordo di averlo associato, all’epoca, all’idea della Borgogna).

Poi è seguito lo studio, i master, le degustazioni, i viaggi e, soprattutto, la totalmente trasformata percezione del vino e del suo terroir.

Sia chiaro, ignorante ero e ignorante sono rimasto, soprattutto in un contesto come quello della Borgogna, però sono un ignorante costruttivo, che cerca con costanza e tenacia di sopperire alle tante lacune, che poi, sono tanto culturali quanto emozionali.

Eh sì, perché più di qualsiasi altra area vitata del pianeta, la Borgogna è emozione. Un’emozione immensa che ti fa tornare ragazzo e ti fa battere il cuore, di fronte alla vigna di Richebourg, quasi fosse un primo, adolescenziale bacio: qualcosa che desideri ma non sai cosa aspettarti e sogni donne proibite, proibite come le etichette scarne e inconfondibili della Romanée Conti, belle e irraggiungibili come la più bella della classe.

Il vino di Borgogna è, dopo tutto, pura sensualità. Lo è nella declinazione maschile dei Pommard e degli Chambertin ma lo è soprattutto nella declinazione femminile di tutte le altre denominazioni, dall’eleganza del Musigny, all’esotismo della Romanée, al profumo d’agrumi dello Charlemagne e alla burrosa opulenza del Montrachet.

Che fortuna aver potuto assaggiarli, gustarli e ricordarli come indimenticabili baci di donne che passano nella tua vita per pochi minuti e la stravolgono, ribaltando completamente i tuoi paradigmi.

E come tutte le vere grandi donne, così i grandi cru di Borgogna sono difficili, imperscrutabili, talvolta incomprensibili. Ma proprio come le grandi donne, che non hanno bisogno del trucco, così anche a loro basta la purezza di una sola uva, nelle due declinazioni del Pinot Noir e dello Chardonnay (che poi, dicono gli ampelografi, hanno una genetica molto simile).

Niente trucco, insomma, nessuna personalità baroccamente composta ad arte per piacere, al contrario di altre zone della stessa Francia. I vini, in Borgogna no, se non ti si concedono restano dei miti, come irraggiungibili e algide top model. Poi, improvvisamente, si aprono e ti svelano la loro semplicità, che è disarmante.

Impossibile non innamorarsi.

Sedotto da Romanée-Conti


Ci sono vini che sono emozione, altri che ci lasciano indifferenti o ci deludono. Ma che cosa fa davvero la differenza tra un vino e un altro? Perché un vino ce lo ricordiamo per tutta la vita e non ricordiamo, invece, tutti quegli altri vini, magari buoni ma, tutto sommato, comuni?
La qualità, prima di tutto. Se la qualità non è alta, il ricordo del vino svanirà molto presto, non c’è dubbio. Eppure, c’è dell’altro. La qualità, da sola, non è sufficiente.
Io credo che, tra le motivazioni più importanti, ci sia la situazione in cui avviene la degustazione.
La situazione può essere fisica ma potrebbe anche essere culturale.
Cerco di spiegarmi meglio: il vino costella le situazioni personali che viviamo (il vino di una cena speciale, lo champagne del matrimonio, un ricordo d’infanzia…) ma, per chi il vino lo ama e lo studia, esso è anche indissolubilmente legato a luoghi, denominazioni, cantine, etichette.
Venerdì scorso, mi sono ritrovato nel calice (fortunato mortale!) un Romanée-St-Vivant 2008 del Domain de la Romanée-Conti, una delle etichette che fanno la storia del Pinot Noir della Borgogna.
Ecco, è stata “emozione totale”. Lo è stato per il momento, per la situazione contingente, per la degustazione, per la qualità della bottiglia. E lo è stato, parimenti, per il nome del vino, del produttore, per quell’etichetta borgognona così sobria, con le sue inconfondibili righe di caratteri stampatelli neri e verdi.
Dare, ora, delle note di degustazione mi sembra quasi fuori luogo. In ogni caso, è un vino ampio con un olfatto che dal frutto croccante, ancora percepibile, spazia alle violette appassite, spezie orientali e tanto, troppo altro. In bocca, una freschezza degna di un grande bianco, il tannino è seta, della più raffinata. La persitenza è infinita.
Tutto è, qui, seduzione ed io sono stato irrimediabilmente sedotto.

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