“Tutto è dolore, tutto è transitorio” diceva il Buddha ben prima dell’amato motto eracliteo “Panta rei” da me spesso citato.
La vita scorre come un fiume (questo lo diceva Eraclito, non Siddharta Gautama…) e non bastano le moderne illusioni contemporanee della programmazione neurolinguistica a fare luce su quell’infinito e complesso patrimonio interiore che abbiamo in noi.
Poi torniamo alla vita reale, quella di tutti i giorni, del lavoro, dei rapporti interpersonali, dove tutto è concretezza, dalle azioni fino anche ai pensieri e nulla è “maya”…. o forse tutto è maya, apparenza (come, in fondo, lo erano perfino i grandi Buddha di Bamiyam, fatti saltare dal “materialismo” talebano).
Le dottrine orientali – ma anche, benché in forma un po’ meno essenziale, il nostro “locale” Cristianesimo – ci assicurano della necessità del distacco per andare “su di livello”, quasi fosse una sorta di gioco su uno di quegli smartphone di cui non riusciamo più a fare a meno.
E, intanto, il mondo attorno a noi riecheggia di voci vuote, di pragmatismi e superficiali utilitarismi che denotano e sanciscono in sostanza – vedi queste orribili campagne elettorali dei nostri anni – la fine di una società che, forse fin dall’epoca del caro vecchio Platone, si è fondata sull’idealismo.