Sentiamo continuamente parlare di come gli italiani siano divenuti razzisti per colpa dell’immigrazione. Questo è divenuto addirittura un leimotiv dei media nostrani che meglio sarebbe se si occupassero di pacificazione, invece che di buttare benzina sul fuoco.
Vi racconterò allora una storia di circa cento anni fa, che la dice assai lunga sulla propensione dei nostri cari italiani alla tolleranza e al rispetto del prossimo – sì, proprio quello, che nella culla del Cattolicesimo, dovrebbe essere la priorità morale.
Parliamo di Grande Guerra e, in particolare, di Fronte Orientale, quello della Vittoria nella Battaglia del Piave del 3-4 Novembre 1918, ma anche delle nefandezze, come far esplodere i camminamenti austriaci del Col di Lana nella notte del 17 Aprile 1916, uccidendo indiscriminatamente tutti gli occupanti la fortificazione.
Ricordo che, anni fa, rimasi profondamente scosso dallo scenario lunare su ciò che resta del suddetto Col di Lana, ben visibile dal Pralongià, in Alta Badia, dove ero sugli sci.
Da allora, ho sempre avuto un’indole particolarmente revisionista sulle ragioni, i metodi e le conseguenze di quella tragica guerra di trincea.
L’ultimo dettaglio, aggiunto recentemente alle mie conoscenze su quell’epoca buia della nostra Europa è l’etimologia del dispregiativo crucco, usato, soprattutto qui al Nord, per indicare, in genere, i tedeschi.
In realtà, si tratta di un dispregiativo terribilmente barbaro: le prime linee dell’esercito Austro-Ungarico, infatti, erano costituite essenzialmente da soldati croati, anch’essi sudditi dell’Impero, al pari di trentini, triestini, transilvani, boemi.
Gli italiani li sbattevano in campo di concentramento. Li chiamavano campi di prigionia, a dire la verità, ma non erano tanto diversi dall’Auschwitz dei Nazisti.
I prigionieri croati, abbandonati e denutriti, gridavano kruh! kruh! – che significa pane! pane!
Ed ecco, tutti i tedeschi sono diventati crucchi… Che vergogna!
Eravamo razzisti e lo siamo rimasti. Di più, eravamo e siamo molto ignoranti, nel senso che disprezziamo senza mezzi termini qualunque apporto culturale, sociale o religioso provenga da chi è anche solo un po’ diverso da noi.
Noi, quelli che sapevano anche negare il pane a soldati di prima linea, loro prigionieri.