Modena Champagne Experience 2017


L’8 e il 9 Ottobre 2017 a Modena si è svolta una delle più grandi manifestazioni mai realizzate sulle bollicine d’Oltralpe.

Modena Champagne Experience, ha chiamato a sé tutti i più grandi importatori d’Italia, nomi del calibro di: Sagna, Velier, Pellegrini, Banfi, Rinaldi, Balan e tantissimi altri. Il tutto immerso nella cornice dell’incantevole Modena, con i suoi tesori architettonici dichiarati patrimonio UNESCO; posizione strategica ideale per poter permettere a tutti gli appassionati di bollicine del centro-nord Italia di fare un breve viaggio di qualche ora.

Al fine di poter raccontare al meglio questo evento, noi di Wonderland abbiamo scelto di partecipare a tutte e due le giornate, così da poter, per quanto possibile, gustare le nuove annate e assaggiare nuovi produttori.

Per riportare l’esperienza vissuta, abbiamo pensato di scrivere un articolo raccontando le tre bottiglie delle tre aziende che ci hanno colpito di più, seguendo la logica organizzativa dell’evento che ha suddiviso i produttori in: Maison Classiche, Côte de Blanc, Vallée de la Marne, Montagne de Reims e Aube.

Tra le Maison Classiche ci ha particolarmente colpito l’azienda Palmer & Co con il suo Amazone composto da solo vini di riserva e tenuto sui lieviti per circa tredici anni. Un vino di un enorme ventaglio olfattivo, in bocca è intenso e cremoso con una piacevole scia sapida in chiusura.
Altra bottiglia da non perdere è La Grande Année Rosé 2005 di Bollinger, un capolavoro enologico. Questa tipologia venne prodotta solo dopo la morte di Madame Bollinger che non amava i rosé. Matura otto anni sui lieviti. In bocca colpisce per la sua avvolgenza e il suo straordinario equilibrio, sicuramente un vino che meriterebbe più di un assaggio per poterlo descrivere.
L’ultima bottiglia che inseriamo in questa categoria è Princes Blanc de Blanc dell’azienda De Venoge. La bellissima bottiglia richiama la forma del decanter, l’uvaggio è solo Chardonnay che riposa sui lieviti per tre anni. In bocca è immediato, piacevole e con un bel finale agrumato-minerale.
In Côte de Blanc abbiamo potuto apprezzare Les 7 Crus di Agrapart composto con i principali Crus dell’azienda: cinque facenti parte della Côte de Blanc e due della Vallée de la Marne. Quasi tutto Chardonnay con solo un 10% di Pinot Noir. E’ uno Champagne di gusto, che lascia una bocca pulita e lo si può apprezzare come aperitivo o semplicemente da solo.
La seconda bottiglia scelta è quella di Pierre Legras con il suo Blanc de Blanc Grand Cru. Un’azienda con 10 ettari di proprietà nel comune di Chouilly. Champagne di grande finezza, colpisce per la sua eleganza già dal primo sorso e con un finale sapido di lunghissima persistenza.
L’ultima che inseriamo in questa categoria è la Cuvée Blanche de Castille di Colin. Il 60% dei vini di riserva è fatto con il metodo ‘solera’ e solo il 40% con i vini d’annata. Questo Champagne regala un assaggio di grande piacevolezza, si apre al naso con una intensa frutta esotica matura per poi regalare in bocca cremose note di pasticceria.
Per la Vallée de la Marne abbiamo assaggiato tre fuoriclasse assoluti.
Stiamo parlando degli Champagne di Dehours & Fils, in particolare ricordiamo Le Generaux che proviene da un vecchio vigneto piantato nel 1979 a sole uve Meunier e che riposa sui lieviti 72 mesi.
L’Ame de la Terre di Francois Bedel che Matura 96 mesi sui lieviti. Sorprende al naso per le delicate note speziate ed in bocca per il suo meraviglioso equilibrio.
Joseph Desruets con il Sous les Clos Premier Cru 2009; Champagne che riposa sui lieviti per 84 mesi. Grande impatto olfattivo di crosta di pane appena sfornato, al palato colpisce la notevole struttura e la nota torbata di sottofondo.
Per le Montagne de Reims abbiamo selezionato i tre migliori sorsi in: Marguet, Paul Bara e Roger Coulon.
Shaman 13 Grand Cru Extra Brut di Marguet è prodotto con le vecchie vigne provenienti dal villaggio di Ambonnay. Champagne con prevalenza Pinot Noir e con un 20% circa di Chardonnay. L’olfatto è raffinato e complesso, in bocca ha una straordinaria profondità e una ricchezza sapida nel finale.
Il Reserve Grand Cru di Paul Bara si apre con un impatto olfattivo che ricorda la crosta del parmigiano, per poi virare sulla frutta candita e bergamotto, in bocca il perlage è sottile e cremoso con una grande freschezza agrumata appagante.
Infine il Reserve de l’Hommée di Roger Coulon. Champagne incantevole il cui nome “L’Hommée” indicava l’antica misura agraria che si basava su quanta vigna un uomo riusciva a lavorare in una giornata. Elegante la dinamica gustativa, con ritorni di brioche e spezie.
Avremmo voluto dare anche i tre nomi dell’Aube, ma per questa sessione di Modena Champagne Experience non c’è stato il tempo, pertanto, sperando che questi consigli vi saranno utili, attendiamo con ansia il prossimo anno.
Santé!

 

 

 

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Champagne Drappier: histoire, terroir et passion


Ad una magistrale lezione sullo Champagne ricordo molto bene quando ci fu spiegato quali ragioni fanno della bolla d’Oltralpe un vino inarrivabile e, semmai, il riferimento assoluto per chi fa metodo classico in tutto il mondo.

Tali ragioni sono la storia dello Champagne, il suo terroir e la passione dei vigneron.

Nella nostra visita con degustazione ad una delle maison di riferimento dell’Aube, ho avuto il piacere di  sperimentare quanto questi fattori si fondano nel bicchiere per donare anima e classe allo Champagne, tanto da rendere vani e fuori luogo paragoni con le “altre” bollicine.

Sto parlando della maison Drappier, con sede nel piccolo villaggio di Urville: si trova nel dipartimento dell’Aube, a pochi chilometri da Bar-sur-Aube.

Ci accoglie l’attuale proprietario Michel Drappier: seppur distinto e competente è sempre sorridente e di una simpatia contagiosa. Ha voglia di scherzare, riuscendo a far sentire tutti i visitatori a loro agio.

Michel ci accompagna a visitare le cantine storiche della maison lungo un bellissimo percorso, ben consapevole della varietà dei visitatori presenti e della propensione di alcuni a ritenere la vista una specie di tour dei sotterranei.

Ho detto maison perché, come prevede la legge Francese, Drappier ha una buona percentuale di uve da vigne non di proprietà (circa 50 ha di proprietà e 40 ha di viticoltori conferitori), ma stiamo parlando di una famiglia di vigneron molto importante, con una lunga storia di vinificazione iniziata nei primi anni del 1800 fino all’attuale generazione con Michel ed i suoi tre figli che ne rappresentano ben l’ottava.

La storia: le cantine, che sono ai piani inferiori dell’abitazione della famiglia Drappier, furono fatte costruire nel 1152 da Bernardo Di Chiaravalle che, arrivato da Digione, fondò l’abbazia di Clairvauxh e utilizzò queste cantine per la conservazione del vino: a quel tempo si trattava di un vino rosso e fermo. Il cosiddetto Vin da Bar, già molto apprezzato dal re di Francia, viaggiava verso Parigi su bastimenti che scendevano lungo il corso dell’Aube e della Senna.

Il terroir: siamo nel territorio di Urville, particolarmente vocato al Pinot Nero che, guarda caso, fu introdotto proprio dai cistercensi dalla Borgogna. Qui il clima è fresco, anche se leggermente più mite del nord della Champagne; le colline molto morbide ed i terreni composti di marne e calcari Kimmeridgiani hanno molto in comune con quelli del nord delle Borgogna (Chablis) e donano al Pinot nero un fruttata croccantezza e morbidezza. Il Pinot nero è il vitigno principale di questa regione ed è anche quello a cui la famiglia Drappier è rimasta fedele: il Carte D’Or Brut, (con minimo l’80% di pinot nero) è espressione autentica dello stile Drappier.

Michel ci spiega in un buon Inglese e con parole semplici come intendono fare Champagne, con alcune scelte di produzione davvero uniche e interessanti: da ciò che sto per raccontarvi emerge tutta sua grande passione, che, non dimentichiamo, è il terzo e non meno importante fattore per fare un grande Champagne!

Drappier si definisce “organic oriented” e la maison si sta convertendo per avere la certificazione: produce vini non filtrati e a basso contenuto di solfiti (fino ad arrivare all’estremo brut nature sans soufre).

Per tenere basso il quantitativo dei solfiti, in tutte le fasi delle vinificazione, si cerca di minimizzare il contatto con l’ossigeno, a partire dalla macchine pressatrici che fanno cadere il mosto nelle cisterne solo per gravità, alla scelta dei legni per l’invecchiamento dei vini, al fatto di non cambiare mai il contenitore in vetro per la seconda fermentazione, anche per i grandi formati di bottiglie.

Drappier – Carte d’Or Melchisedech

 

Quella che vediamo è la più grande bottiglia di Champagne mai prodotta: una Melchisedec equivalente a 40 bottiglie per 30 litri

 

 

 

 

 

Oggi la loro produzione è costituita da un 70% di Pinot Noir, 15% di Chardonnay, 13% di Munier ed un 2% di vecchie varietà che sono quasi totalmente scomparse dalla Champagne: Arbane, Petit Meslier, and Blanc Vrai una varietà che si trova anche in Borgogna ed è comunemente chiamata Pinot Blanc e che qui si usa chiamare Blanc Vrai perchè significa “veramente bianco”, infatti sia la buccia che polpa sono decisamente bianche.

Drappier è uno dei pochissimi produttori ad utilizzare tutte e sette le varietà per la sua produzione, in particolare il blanc de blancs Quattuor, vuole valorizzare questi vitigni dimenticati.

Altra caratteristica unica: Drappier usa un proprio lievitino biologico, registrato. E’ molto difficile che si possa registrare il brevetto di qualcosa di vivente come lo sono i lieviti: possiamo considerare questi lieviti come una firma dello champagne Drappier.

Il riposo sui lieviti va da un minimo di due o tre anni per il Carte d’Or fino a nove anni per il Grande Sendrée (oggi stiamo bevendo il 2008).

Il dosaggio finale è la liqueur d’expedition fatto di vecchio vino di champagne e zucchero di canna biologico dai Caraibi (Martinica). Chiaramente nel brut nature non verrà aggiunto lo zucchero, per il Carte d’Or si aggiungono 5-6 grammi di zucchero, mentre per il più dolce demi-sec si arriva a 35 gl.

I russi, molto tempo fa, erano degli ottimi consumatori di demi-sec, oggi non più: il mercato richiede quasi esclusivamente Champagne secco.

OVUM Taransaud

 

Nella foto a fianco l’unica grande botte a forma di uovo: ce ne sono solo due in tutta la Champagne, ma Drappier è stato il primo ad averla. La forma è considerata quella ideale per la maturazione del vino poiché al suo interno si generano delle correnti, dei moti convettivi che conferiranno particolare eleganza al vino.

Il vino sarà differente se matura nella botte a uovo, o nella botte ovoidale verticale o orizzontale.

Nella foto sottostante possiamo notare delle nuove botti il cui legno arriva dalla “Forêt d’Orient” che, in Francia, sono uniche: non ci sono altre botti fatte con questo legno. Questa foresta, che apparteneva all’ordine dei templari (un potente ordine di cavalieri) è immensa e si trova non molto lontano, sempre nel dipartimento dall’Aube: Drappier ha avuto la possibilità di utilizzare alberi secolari per ottenere delle botti speciali in cui conservare i vini di riserva.

 

Drappier – Barrel

 

Dobbiamo pensare che Drappier produce ogni anno circa 75 vini diversi e l’anno successivo, tra Febbraio e Maggio, Michel decide le dosi che comporranno la cuvée (il blend).

E’ suo compito assaggiare tutti e 75 i vini, ciascuno anche dieci o venti volte: parliamo quindi di circa 3000-4000 degustazioni, rigorosamente alla cieca, da effettuare alla fine dell’inverno, solo dopo le quali Michel deciderà in autonomia la composizione della cuvée: prima di lui lo ha fatto per anni il padre André e il figlio, prossimo enologo, proseguirà la tradizione di famiglia.

 

L’anno scorso (2016) c’è stata una terribile gelata e Drappier ha perso circa l’80% del raccolto.

Anche quest’anno le cose non sono andate molto meglio: è andato perso circa il 50%-60% del raccolto, sempre a cause di gelate primaverili. Questo spiega l’importanza della gestione e conservazione dei vini di riserva, nonché dello stoccaggio di un gran numero di bottiglie che stanno maturando sui lieviti.

Ci viene poi mostrato qualcosa di veramente unico in Champagne: una botte di legno da Limoges.

Questo legno è molto poroso e permette all’ossigeno di attraversarlo: per questo motivo Drappier lo utilizza per la liqueur d’expedition che è composta da zucchero di canna, che viene sciolto nel vino fermo di Champagne (700 g/l: la quantità massima di saturazione oltre la quale lo zucchero non si scioglierebbe) per produrre un liquido molto dolce e mieloso. Questo liquido viene invecchiato dai 15 ai 20 anni e la si può considerare una vera propria essenza che utilizzata in piccolissime quantità conferirà ricchezza e morbidezza allo Champagne.

Drappier esporta in 98 paesi circa i due terzi della propria produzione. Lo champagne viene venduto spesso in piccole quantità: Drappier definisce la sua infatti una piccola maison. Anche l’Italia è assolutamente un mercato importante per Drappier: i primi paesi importatori sono Belgio, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti.

 

Degustazione Drappier

Ora ci troviamo nel salotto di famiglia, molto elegante ed in stile neo-coloniale, con grandi finestre che danno sulla campagna circostante la proprietà. Ci sono molti altri ospiti ed il rumore di fondo non ci impedisce di goderci la degustazione degli Champagne Drappier eleganti e di territorio: il brut nature, il Carte d’Or, il rosè e il Quattuor.

Michel, che evidentemente ci ha preso in simpatia, si siede con noi per una chiacchierata informale, per sapere chi siamo e da dove nasce questa nostra passione, proponendoci un’ultima degustazione della sua cuvée de prestige Grande Sendrée, che lui stesso ci racconta essere il nome evocativo di un grande incendio divampato ad Urville nel 1838 ed in particolare di un appezzamento di terreno che fu completamente ricoperto di cenere (cendrée in francese significa incenerito): fu poi per un errore di ortografia che divenne Sendrée.

E’ il finale perfetto: la Grande Sandrée è champagne d’autore, in cui ritroviamo fusi magicamente e armoniosamente histoire, terroir et passion.

Michel Drappier & Somms

Ai piedi dello Champagne


Vorrei provare a raccontarvi una storia di tanti perché, senza arrivare proprio vicino alle risposte, senza poter trovare la strada corretta, ma passando piuttosto attraverso il tempo cercandovi qualche curiosità.

Tantissimo tempo fa, per l’esattezza nel Mesozoico (se di esattezza si può parlare riferendosi ad un’era geologica di 150 milioni di anni), in una vasta area depressionaria, iniziò la storia di una pianura intervallata da dolci rilievi che avrebbero contribuito un giorno a rendere molto famosa la regione in cui si sarebbero trovati. Mi riferisco a quello che i geologi chiamano bacino sedimentario di Parigi, ou bien Bassin Sédimentaire Parisien.

Circa 3500 metri di sedimenti deposti grazie alla presenza dell’oceano durante la totalità del Mesozoico e al susseguirsi di momenti di trasgressione e di regressione marina durante il Cenozoico, che portarono la presenza del mare o piuttosto di lagune o di bacini chiusi, in forte evaporazione (i cosiddetti laghi salati). Una deposizione a momenti parossistica, in cui i rilievi al contorno si sgretolavano letteralmente, e torrenti impetuosi ne portavano i sedimenti a valle. Gli strati risultanti venivano schiacciati sotto il loro stesso peso e piegati, soprattutto a partire dal Neogene, dalla potente forza creatrice della tettonica Alpina e Pirenaica, una forza talmente possente da sollevare ancora oggi il mondo di centimetri all’anno.

L’era Mesozoica vide la presenza dell’oceano e determinò una deposizione potente anche 600 metri di calcare molto puro, la cui componente terrigena era per lo più apportata dall’erosione dei massicci isolati inglesi e dei vosgi. In seguito per regressione marina dovuta all’isolamento ormai compiuto del bacino Parigino, durante il Cenozoico si deposero sul potente strato calcareo depositi unici, molto fossiliferi, di natura variegata e dipendenti dal momento e dall’ambiente di formazione.

Il risultato è una serie sedimentaria di rocce di origine marina, lacustre, lagunare, fluviale. Dove i sedimenti oltre ad essere di diversa natura hanno diversa forma e composizione: detritica (i pezzi grossi o trovanti), marnosa (sedimenti calcarei e terrigeni di deposizione marina), argillosa (di origine soprattutto lacustre e lagunare) e calcareo gessosa o evaporitica (che come si può intendere dal termine restano come risultato di un’evaporazione spinta).

La porzione Nord Orientale del bacino di sedimentazione fu caratterizzata nel Neogene da prolungate crisi di salinità ed i depositi risultanti furono gli strati gessiferi intercalati a marne e sabbie, dovuti agli ambienti lagunari i del bacino, che oggi affiorano presso Reims.

Qui in seguito a modificazioni dovute alla tettonica e alla dinamica fluviale recente, il paesaggio si presenta composto da pianure, ma soprattutto da valli e colline (o cuestas). Questa porzione di territorio venne scelta nelle epoche più prossime ai nostri tempi come area agricola da adibire alle coltivazioni cerealicole e per l’implantazione della vite, per produrre il vino per le celebrazioni religiose.

Qui fu dove per cento anni Inglesi e Francesi si diederero battaglia aperta, fu dove Giovanna d’Arco condusse Carlo VII ad essere incoronato, fu un’area pressoché dimenticata nel secolo della rivoluzione, fu dove un Dom Pierre fu inviato a gestire l’abbazia di Hautvillers, e dove mise a frutto la sua arte, così vicina alla poesia da profumare con fiori di pesco i suoi esperimenti, già così eccezionali.

I suoi risultati, da considerarsi una scoperta a tutti gli effetti, che cosa sarebbero stati però se non si fossero accompagnati alle caratteristiche geologiche, morfologiche e climatiche del ventre in cui furono concepiti? Sarebbero un nobel nel campo enologico e oggi berremmo un vino effervescente, ma non potremmo del tutto definirlo l’estasiante, chiaro e sinuoso Champagne.

La presenza di terreni calcareo marnosi peculiari di questo terroir e i potenti livelli evaporitici rendono la coltivazione dei cépages principali un po’ meno estrema, le caratteristiche chimiche del gesso e della calcite sono qui indispensabili nei rilasci idrici e termici lenti, e nella regolazione dell’apporto nutritivo alla pianta.

La bellezza e la peculiarità di questo luogo è commovente, come nell’ascolto di un brano al violoncello, ti tocca nelle viscere, te le rimesta letteralmente; poter osservare le cattedrali che la natura ha riserbato nel sotterraneo, ai piedi di quelle piccole piante, creando vuoti e vortici protettivi delle loro profonde ed eleganti radici, e nascondendovi tesori sommersi quasi come a voler regalare i suoi gioielli, riesce per me a svelare molti interrogativi e a convincermi una volta in più che non si tratta solamente di un metodo di vinificazione.

Qui una realtà, la Legrand-Latour, ha fatto della sua cave, denominata La Cave Aux Coquillages, un itinerario di immedesimazioni scenografiche per celebrare al meglio le caratteristiche del loro lavoro e dei loro possedimenti; Monsiour Legrand è un appassionato paleontologo da quando era bambino, forse oggi lo fa anche con la prospettiva di interessare le famiglie con bambini, o solo perché spesso in Francia si fa così. Io dal mio conto penso che siano iniziative lodevoli ed il vedere la propria bambina con il pennellino a caccia di Campanile Giganteum lutetiane nelle viscere di Fleury-la-Riviere, è senza dubbio affascinante, così come poter scendere nel museale sottosuolo di questo luogo e vivere nel suo sacro silenzio.

A Reims, tra le vigne


La Champagne è una regione verdissima, disseminata di piccoli borghi, stretti intorno ad un campanile.

Tutt’intorno, distese infinite di prati, boschi, campi coltivati e, naturalmente, vigne. In realtà, e come è giusto che sia, le vigne non sono proprio dappertutto. Ci sono zone, tuttavia, come la Montagna di Reims, dove i filari proliferano fieri ai margini delle strade asfaltate, tanto da invogliarti a fermare la tua auto, che frettolosamente corre da un produttore all’altro.

Oggi siamo a Jouy-lès-Reims.

Ti fermi, scendi e ti immergi in questo verde grandioso, rotto solo, a tratti, dalle rose in fiore poste in testa a ciascun filare.

I filari sono incredibilmente bassi, quasi a volerci rammentare quanto conti il terreno di queste vigne, il cui calcare assorbe inesorabile quella luce e quel calore di cui necessitano i grappoli per giungere a maturazione, anche qui, a queste latitudini.

Pochi passi su una delle stradine sterrate che attraversano le vigne. Sguardi, i nostri, ammaliati dalla bellezza e dalla perfezione dei Guyot su un verde letto di erba.

Un furgoncino rosso si ferma, scende una persona. Salutiamo. È un uomo anziano, capelli bianchi ed occhi limpidi e celestissimi.

Nel mio modesto francese, gli chiedo delle vigne, dei vitigni. Prontamente ci racconta dello Chardonnay e del Pinot Noir, così simili e delicati. Ce li indica, ci mostra l’allegagione. Poi, stupiti dalle chiome cinerine di un altro vigneto, ci racconta che si tratta del Meunier, che non è pinot, neppure nel nome, tantomeno nel patrimonio genetico. Anzi, è proprio il Meunier a resistere di più, laddove gli altri due sono sempre difficili da allevare.

Gli chiediamo il nome, Bonnet, ci risponde, e aggiunge che non importa il cognome, che ha ottantotto anni e fa vino dagli anni ’50, quando nelle vigne si andava sempre e solo a cavallo.

Alla fine, gli chiedo perché alla sua età stia ancora in vigna, si illumina e dichiara: “Pour la passion !”

In realtà, la sua piccola Maison, la Bonnet Crinque, produce uno Champagne che fa dell’attenzione all’ecosistema uno dei suoi manifesti principali, tanto dall’aver sostituito, ad esempio, i trattamenti contro gli afidi nocivi con l’inseminazione delle vigne con afidi “buoni” che eliminano i primi.

Un appuntamento imminente non ci permette di seguirlo oltre, in cantina. Rimarremo con il ricordo della sua lezione di viticoltura e di umanità.

Speriamo di riuscire ad assaggiare presto quegli champagne, frutto di una bella tradizione familiare, portata avanti oggi dal figlio Arnold.

Magico Dom Perignon 


Nel mio lungo viaggio alla ricerca dell’emozione, mi imbatto, in una notte di mezza estate, in una lunga teoria di verdi bottiglie. Gli scudetti déco che le ornano raccontano un sogno, trasformatosi in realtà poco meno di cent’anni fa.
A Epernay nacque, nel 1921, la prima cuvée de prestige della storia dello champagne, destinata ad arrivare nelle flûte solo quindici anni più tardi.

Un vino sempre e comunque emblema del lusso, inconfondibile, a partire dalla bottiglia, che riprende, forse, le forme delle settecentesche bottiglie di Hautvillers, le prime adatte a resistere alle pressioni della rifermentazione.

Un nettare delizioso, al di là di qualsiasi possibile preconcetto. Sì, il Dom Perignon è buono: lo è, soprattutto, quando qualche anno invecchia l’etichetta. È allora che si esprime nella sua complessità olfattiva.

Ma la bocca no, la bocca è sapidamente emozionante anche sui millesimi più recenti, regalando al palato persistenze infinite.

Un sogno che disseta senza mai stancare. Un sogno da vivere e rivivere, tanto nell’esperienza di una P2, forse troppo giovane, quanto nel millesimo 1998, ancora così giovanile nella sua raggiunta complessità all’olfatto e al gusto, concludendo il viaggio nello sconvolgente millesimo 1976, dove mai diresti d’essere di fronte ad un vino vecchio di quarant’anni e ancora esuberante.