Irripetibilità dell’opera d’arte

English: Own work made in the style of Andy Warhol

English: Own work made in the style of Andy Warhol (Photo credit: Wikipedia)

Ecco una domanda curiosa, alla base di molte diatribe filosofiche, è se un’opera d’arte sia o meno ripetibile.

Mi sono imbattuto in questa tematica partendo dall’affermazione del direttore d’orchestra romeno Celibidache che le registrazioni musicali annichilano l’espressione artistica di un’esecuzione, ragion per cui preferiva non essere registrato.

Mi sono ricordato, sempre in campo musicale, del pianista Benedetti Michelangeli che non registrava a meno che non lo si potesse fare dal suo pianoforte personale (quello che, evidentemente, egli considerava la fonte unica, o giù di lì, di un suono degno d’essere immortalato nel microsolco).

Ho letto, qua e là, di come il tema dell’irripetibilità dell’opera d’arte sia stato profondamente dibattuto nel secolo scorso da movimenti come quello dell’Arte Nucleare e da artisti come Salvador Dalì.

In fondo, a pensarci bene, il problema nasce dal fatto che le copie tecnologizzate sono “migliori degli originali”, nel senso che vi si possono apportare correzioni di ogni sorta, per non parlare degli strumenti usati per la replica, ben lungi dai pantografi degli incisori antichi.

Che le prime lastre fotografiche e i primi fonografi avrebbero cambiato il mondo dell’arte, questo era stato evidente da subito e proprio per questo gli artisti guardavano con grande sospetto a questi strumenti diabolici.

Farei però una considerazione, un distinguo.

Mentre le arti figurative sono essenzialmente statiche nelle loro repliche, il discorso relativo alle esecuzioni musicali è ben diverso. Copiare un quadro, fotografarlo, riprodurlo, è qualcosa di statico, univocamente reso definitivo dall’attimo in cui chi copia esegue.

La musica, l’esecuzione musicale, è altra cosa.

Mi viene in mente un video guardato tempo fa su youtube: “Widor plays widor”. Il grande organista francese dell’inizio del novecento suona su un grandioso organo la sua celebre Toccata dalla V Sinfonia. Ora, è vero che Widor aveva novant’anni all’epoca dell’esecuzione registrata, ma è anche da considerare che essa è molto lenta, in netta contrapposizione allo stile con cui la maggior parte degli esecutori ha voluto, nei decenni successivi, interpretarla.

Insomma, chi aveva ragione? Widor o i suoi esecutori? E questi, erano davvero artisti nel momento dell’esecuzione? E se avessero copiato l’autore anche nell’esecuzione sarebbero stati “più” o “meno” artisti?

Le fotografie di un Andy Warhol, immagini scomposte della realtà contemporanea e dei suoi personaggi, sono ancora arte nelle riproduzioni che campeggiano sulle T-shirt che mettiamo d’estate?

E i personaggi che oggi chiamiamo “artisti”, che in realtà non sono che cantanti in playback imitatori di sè stessi, che valore hanno realmente?

Viviamo in un mondo di copiatori ed imitatori, al più di interpreti, che ci ostiniamo a definire artisti, mentre l’Arte non si sa bene dove sia e noi, pubblico incolto, tendiamo sempre più a sovrapporre alla figura dell’artista vero quella dei suoi “replicanti”.

C’è da domandarsi anche se tutta la tecnologia che ci circonda ci aiuti ad inquadrare correttamente l’Arte oppure no. Vittime di i-Phone e i-Pad, siamo addirittura arrivati all’assurdo di visitare i musei preferendo leggere le guide online, piuttosto che alzare lo sguardo e contemplare quella che è stata l’espressione di un’epoca, di una personalità, di un artista.

 

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