Aspettando il Beaujolais Nouveau


Fenomeno ormai quasi solo francese. L’idea del novello è tramontata, qui da noi, pare. E invece, in Francia, c’è ancora un certo interesse. Sarà per via della qualità che, nonostante la brevità della macerazione carbonica, continua ad essere soddisfacente, sarà forse anche l’uso esclusivo del Gamay, il vitigno che più si presta, probabilmente, a rilasciare quegli aromi così pregnanti di frutta che hanno fatto la fortuna di questo vino allegro, conviviale, facile e tipicamente senza pretese.

Giovedì 17 novembre 2017 è la data ufficiale per la commercializzazione, in Francia: la “Soirée du Beaujolais Nouveau”.

Personalmente proverò volentieri, anche quest’anno, il vino di qualità che privilegia l’agricoltura pulita e senza l’aggiunta di solfiti “per non far venire il mal di testa”, come recitano le recensioni del Donaine de Nugues, già testato lo scorso anno.

Abbinamento? Ovviamente charcouterie francesce e nostrana e le immancabili castagne!

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Appuntamenti con l’arte. Terza puntata: Jan Vermeer – Bicchiere di vino


Dipinto nel 1690 circa, il quadro raffigura una donna che sorseggia del vino da un bicchiere di vetro ed un uomo, al suo fianco, pronto a riempirle nuovamente il calice. Sulla sedia in primo piano si può osservare uno strumento musicale: nel 1700 musica e vino erano erano due elementi fondamentali attorno ai quali ruotavano le “conversazioni amorose”. Vermeer con le sue opere metteva in risalto gli stati d’animo e le emozioni dei protagonisti, esaltandone l’intenso gioco psicologico. La donna, col volto parzialmente coperto da velo e bicchiere, sembra nascondersi e chiudersi in sé stessa; un invito al pudore e alla moderazione nel vino così come nell’amore. Lo stesso invito alla moderazione si può ritrovare nella figura femminile raffigurata sulla vetrata piombata, la Temperanza: la luce che l’attraversa illumina i due protagonisti facendo risaltare i particolari con cui Vermeer era solito impreziosire i propri dipinti.

Vermeer era in grado di ottenere colori trasparenti applicando sulle tele il colore a piccoli punti ravvicinati, una tecnica chiamata pointillé; in questo modo era in grado di creare figure estremamente vivide, dalla precisione quasi fotografica, tanto da essere definite “vere nature morte con esseri umani”.

Riesling L’AMAN 2015 Anna Maria Abbona


Colore Giallo Paglierino con riflessi verdolini.
Intenso al naso e con un ventaglio di profumi che vanno dalla frutta fresca come la nespola, al floreale, tarassaco e camomilla. Il caleidoscopio si conclude con una bella nota minerele di selce e piccoli sbuffi di idrocarburo.
In bocca è pieno ed equilibrato. La nota calorica viene elegantemente mitigata dalla splendida freschezza e sapidità.
Il finale è avvolgente con ritorni di erbe armatiche.
Noi lo abbiamo abbinato ad un caprino a pasta semidura.

Traminer Aromatico Valle d’Aosta Chateau Feuillet 2014


Veste paglierina.
Al naso esplode con un bouquet di fiori gialli seguiti da una mela golden e litchi. Chiude il perimetro olfattivo con una delicata nota di selce.
Al palato è pieno e con un bellissimo equilibrio dovuto alla elegante vena fresco-sapida che bilancia l’innegabile morbidezza.
Finale lungo con riminiscenze floreali.
Abbinamento con piatto misto composto da: salume di Varzi e salame Piacentino, formaggio Parmigiano e Pecorino Sardo.

BRUMATO 2007 Garofoli


Si presenta con una veste dorata invitante.
Olfatto ricco e complesso.
Si apre con una frutta candita, albicocca, fico 
e scorza d’arancia per poi lasciare spazio ai fiori
gialli e alle spezie, vaniglia bourbon, anice e accenni
di zafferano.
In bocca è pieno, equilibrato, dolce mai stucchevole
grazie alla sua splendida freschezza.
Finale lungo e sapido.

Noi lo abbiamo abbinato semplicemente ad un gorgonzola naturale.

Appuntamenti con l’arte. Seconda puntata: Marc Chagall – La passeggiata


Dipinto nel 1917-1918 risente dell’influenza cubista che con cui Chagall viene a contatto durante i suoi anni trascorsi a Parigi. La scena ritrae lo stesso Chagall insieme alla moglie, Bella, in un momento di estrema felicità: un picnic in prossimità della loro città natale, Vitebsk. In questa opera possiamo ritrovare tutta la spensieratezza e l’allegria che accompagnano il maestro bielorusso e la sua compagna. Una bottiglia di vino è posta al centro della coloratissima tovaglia imbandita sul prato verde brillante. La felicità pervade tutto il dipinto, come si può notare dal sorriso sui loro visi; i due innamorati si tengono per mano e Chagall sembra trascinato verso il cielo, sollevato dall’amore che lo lega alla donna (e dall’ebrezza del vino?). In punta di piedi pare spiccare il volo, raggiungendo Bella sospesa nel cielo: il loro amore trascende le leggi della natura, irrazionale e soprannaturale.

Sull’etichetta delle bottiglie di Château Mouton Rothschild del 1970 ritroviamo un’opera dipinta appositamente da Marc Chagall: un usignolo che mangia il frutto di una vite color porpora ed un grappolo d’uva che la madre dona al proprio figlio.

Giornata in Langa da Giacomo Fenocchio


E’ una giornata di settembre, tiepida, leggermente ventosa, il cielo è un po’ coperto e gli spiragli di sole rendono più vivi i colori del paesaggio langarolo che, provato da questa lunga estate calda, mi regala sempre un gran senso di pace.

Siamo ospiti dell’azienda Giacomo Fenocchio in località Bussia Zanassi: la frazione è nel territorio del comune di Monforte d’Alba, anche se in linea d’aria ci troviamo più vicini a Barolo.

La cantina dell’azienda e la casa della famiglia Fenocchio sono adiacenti, all’interno della sottozona Bussia, una delle menzioni geografiche aggiuntive più estese e storiche di Barolo che, partendo dal comune di Monforte, si incunea a Nord verso il comune di Castiglione Falletto.

L’ampio terrazzo di casa Fenocchio si affaccia su uno stupendo anfiteatro naturale quasi interamente coltivato a nebbiolo: una volta di più ho la conferma che spesso i grandi vini si fanno in luoghi di incredibile bellezza, dove uomo e natura trovano un equilibrio duraturo.

Ci ospita Nicoletta, moglie di Claudio, molto loquace e simpatica ci racconta senza sosta delle vigne, dei terreni e del lavoro in cantina mentre i vini, quelli, si raccontano da sé.

I vini rossi d’entrata sono il Dolcetto e la Freisa, ma la nostra degustazione inizia dal Nebbiolo e dalla Barbera d’Alba che ci danno subito una chiaro esempio dello stile del produttore, alla ricerca di vini puliti e territoriali.

La Barbera, prodotta da vigneti fuori dalla Bussia, presenta un ottimo equilibrio tra morbidezze ed acidità risultato di prove ed esperienza; secondo Nicoletta infatti la peculiarità di questo vitigno non deve essere troppo sacrificata, per questo la scelta di usare poco legno. È un Barbera che molti amano definire “nebbioleggiante”, forse perché condivide con il Nebbiolo base gli stessi terreni e la stessa metodologia di vinificazione e di invecchiamento: fermentazione in acciaio con 10 giorni di macerazione, riposo in acciaio per i primi 6 mesi ed i successivi 6 in botti grandi di rovere.

Le versioni di Barolo prodotte dall’azienda sono quelle corrispondenti alle quattro MGA in cui possiede le vigne: la maggior produzione è in Bussia dove, da cinque ettari di vigna, si producono annualmente all’incirca 25000 bottiglie, poi vengono il Villero e il Castellero di un ettaro ciascuna, con qualche migliaio di bottiglie prodotte, ed infine il Cannubi che con solo mezzo ettaro di proprietà costituisce l’appezzamento più piccolo dell’azienda per una produzione di circa 3000 bottiglie.

La viticoltura è convenzionale e il barolo è assolutamente classico nei modi di vinificazione e invecchiamento che sono gli stessi per tutte e 4 le etichette: fermentazione con lieviti indigeni ad una temperatura controllata mai superiore ai 31 gradi, 40 giorni di macerazione in acciaio, per la massima estrazione, e dopo un primo riposo di 6 mesi in acciaio l’invecchiamento continua per 30 mesi in botti grandi di Slavonia e qualche tonneau.

Si tratta di una vitivinicoltura senza particolari segreti, dove gli elementi fondanti sono il vitigno, il territorio e l’esperienza nella coltivazione e vinificazione del Nebbiolo tramandata dalle precedenti generazioni: questa caratteristica la si riscontra in tutti i grandi produttori di Barolo.

Assaggiamo l’annata attualmente in commercio, la 2013: tutti i Barolo sono molto puliti ed espressivi e si distinguono tra di loro per sfumature da attribuire a fattori naturali quali la composizione dei terreni, l’esposizione e l’età delle vigne. Per esempio il Villero e il Bussia, che si trovano in terreni di origine elveziana sono più strutturati e duri ma, nonostante le stesse altimetrie ed esposizioni, si distinguono per il fatto che le vigne del Villero sono molto più vecchie (circa 65 anni) ed hanno una resa minore, donando al vino un colore rubino intenso ed al naso note fruttate di prugna, mentre il Bussia vira su sfumature granate e profumi di rosa e liquirizia. Il Barolo Cannubi e Castellero, entrambi da terreni tortoniani geologicamente affini, si presentano eleganti ed intensi nei profumi, con tannini più smussati.

E’ sempre più difficile per noi semplici appassionati assaggiare vecchie annate di Barolo che il mercato, sempre più globale ed esigente, richiede e consuma in brevissimo tempo; Nicoletta ci racconta che dopo la crisi del 2008 sono cresciute moltissimo le esportazioni verso gli Stati Uniti, oggi primo importatore, e si sono rafforzati anche i legami commerciali verso paesi europei come Svizzera, Germania e i paesi Scandinavi: oggi circa l’80% del Barolo prodotto è esportato all’estero.

Concludo menzionando il Barolo riserva Bussia 90 dì del 2011, che come da disciplinare fa un anno in più di botte grande e uno in più di sosta di bottiglia. E’ il top della produzione di Giacomo Fenocchio e certamente quello che più ci ha più emozionato. Al naso è più intenso e caleidoscopico della versione non riserva, con profumi floreali, di sottobosco,  tartufo e torrefazione ed effluvi balsamici. Il tannino è ben presente, assolutamente equilibrato e piacevole, dovuto certamente allo stile di vinificazione, che prevede una lunghissima macerazione sulle bucce di ben 90 giorni, usanza che è stata ripresa dalla tradizione. Al gusto è pieno, armonioso, perfetto nello sviluppo e con una persistenza lunghissima.

 

Al Gin Day di Milano con Bruno Vanzan


Sento la sveglia ruggire, guardo il telefono e vedo “domenica 10 settembre”; mi alzo con un balzo, stile servizio militare, poi inizia la ricerca del caffè. Mi preparo. Oggi sarà una lunga giornata. Victor Vicquery dell’AIBES Valle d’Aosta ha organizzato la trasferta al Gin Day di Milano; non potevo mancare. Le mie conoscenze in questo campo sono “amatoriali”: è quindi l’occasione giusta per capire, perché il Gin è così di moda.

Alle 13:00 siamo in via Giacomo Watt 15 a Milano. Strappato il biglietto d’ingresso (10€), entriamo ed iniziamo un primo tour tra gli stand. La fiera è separata in due parti: I Gin italiani e i Gin Esteri.

Durante la fase di ricognizione abbiamo la fortuna di conoscere Marco Bertoncini e Giacomo P. Camerano. Iniziamo la conversazione e capiamo subito che abbiamo davanti due esperti, in seguito scopriremo che curano il sito “ilgin.it”.

Ci parlano della storia del Gin e della stampa di William Hogarth del 1751 intitolata “Beer Street and Gin Lane”. Lascio agli interessanti l’approfondimento dell’aspetto storico, molto affascinate, ma troppo articolato in questa sede. Poi arriva il momento di congedarci, li salutiamo, ma conserviamo gelosamente i loro consigli sui gin d’assaggiare.

Iniziamo la degustazione negli stand che offrono prodotti nazionali:

  • Z44 Gin : nasce nelle Distillerie Roner di Termano in provincia di Bolzano. È aromatizzato con diverse botaniche, ma sono le pigne del Pino Cembro che dominano il distillato. Il risultato è un Gin mentolato e fresco, ideale nel periodo estivo.
  • Solo Wild Gin : la tappa successiva è l’azienda Pure Sardinia che realizza questo Gin con una sola botanica: le bacche di ginepro. Ha un sapore verticale – paragonabile ad uno spumante di Pinot Nero in purezza – con un retrogusto di macchia mediterranea. La scritta “Wild” in etichetta non è stata data a caso.
  • Gin Marconi 46 : la Poli Distillerie, azienda veneta che include nelle botaniche classiche l’uva moscato. In bocca è rotondo e delicato, un prodotto che strizza l’occhio al mondo femminile.

Arriviamo ai Gin esteri e il rappresentante della Bombay ci presenta tutta la loro gamma:

  • Bombay London Dry Gin : entry level dell’azienda
    Bombay Sapphire : successo mondiale negli anni 80, fiore all’occhiello dell’azienda.
    Bombay Sapphire East : è una rivisitazione del Bombay Sapphire, ma con l’aggiunta di 2 botaniche: il pepe thailandese e il lemongrass (citronella)
    Star of Bombay : è stato creato nel 2015 con 47,5% di alcool. Per una valutazione oggettiva consiglio di allungarlo con acqua o una tonica!
  • Silent Pool : è prodotto nella contea di Surrey, a 100 km da Londra. È composto da 24 botaniche, il risultato è sorprendente, è un gin ricercato. Si presenta molto floreale e delicato, con una punta di camomilla.
  • Monkey 47 : arriva dalla Germania, il numero 47 si riferisce alle botaniche utilizzate per aromatizzarlo. La sua peculiarità è che viene usato alcool di melassa (usando la canna da zucchero) e non l’alcool di cereali come negli altri gin. Il risultato è complesso, qui ci vuole tempo per apprezzare le sfumature. Un gin da meditazione.
  • Thomas Darkin Gin : creato dal master distiller Joanne Moore, è pura seta. Sembra la condensazione della “part des anges”!
  • Hendrick’s : al loro stand ti accoglie un’hostess che prende i tuoi dati e ti fa accomodare in un salotto, ti trattano come se stessi volando con la loro compagnia aerea. Ti propongono 4 cocktails con il loro Gin. Poi ti ritrovi a 10.000 metri di quota, e chiedi allo stewart a che ora è previsto l’atterraggio.

La nostra esperienza milanese volge al termine, ma qui le sorprese sono sempre dietro l’angolo.

Vediamo in lontananza Bruno Vanzan che sale sul palco per raccontare la genesi del “Sushi Martini” premiato a Tokyo come miglior cocktail al mondo 2016. Seduti in platea veniamo investiti dall’energia di questo ragazzo classe 1986. Sono 50 minuti di fuoco, dove ripercorre le fasi della sua vita, ricorda le prime gare per bartender, spiega dove nasce l’idea di un cocktail vincente…

Poi prepara il Sushi Martini per tutta la sala ed esclama:

“quello che dico ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere è che le gare sono importanti, è fondamentale trovare gli ingredienti giusti per impressionare i giudici di gara, ma alla fine quando si LAVORA e devi preparare un aperitivo per un congresso con 1000 persone, le mani le devi MUOVERE!”

E qui scatta la “standing ovation”, per un evento organizzato benissimo che ti fa prendere coscienza che dietro questo liquido trasparente c’è un lavoro immenso.